Dialoghi – La birra cinese non è solo Tsingtao

Marzo 2025

Fuori dalla Repubblica popolare è facile associare la birra cinese alla Tsingtao, marchio iconico e dalla storia interessante, ma “solo” al secondo posto per vendite in Cina. Il panorama dei birrifici cinesi, industriali e artigianali, è molto più variegato di quello che può sembrare e la Repubblica popolare è da anni il paese al mondo in cui si produce e si consuma più birra. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. 

di Francesco Mattogno

A Perugia esiste un piccolo supermercato asiatico fornitissimo, vicino alla stazione dei treni di Fontivegge, rifugio per i tanti asiatici presenti in città e per i nerd di tutto ciò che è “orientale”. È di proprietà cinese, vende soprattutto prodotti alimentari e dentro ci si trova qualunque cosa. Tè rosso, verde e nero, noodles di riso, patate, soia e frumento, gnocchi cinesi e coreani, cavolo cinese (e kimchi in barattolo), una decina di varietà di Lao Gan Ma, salse di soia di ogni tipo, ravioli di ogni tipo, snack cinesi e così via. 

C’è anche una discreta scelta di alcolici, soprattutto baijiu, con diversi tipi di birre (píjiǔ 啤酒). Una sola di queste però è cinese, e chi legge sa già di quale si tratta: la Tsingtao (qīngdǎo píjiǔ 青岛啤酒), appunto.

Tsingtao è da tempo un po’ il sinonimo di “birra cinese” fuori dalla Repubblica popolare. All’estero ne arriva quasi sempre una sola versione, la classica bionda lager, leggera ma non troppo (4,7 gradi). Non indimenticabile, ma – almeno per chi scrive – più buona di varie birre industriali italiane. In Cina ne esistono molte varietà diverse e il Festival della birra di Qingdao, sede del marchio (che ne prende il nome, ma con la trascrizione in Wade-Giles), è il più grande evento legato alla birra in Asia. Quella del 2025 sarà la sua 35esima edizione.

La storia della Tsingtao è interessante perché incarna perfettamente la narrazione di caduta e di rinascita della Cina tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento, dalla fine dell’Impero alla fondazione della Repubblica popolare nel 1949. Come ha scritto Ilaria Maria Sala su Gambero Rossoin un articolo dello scorso anno, la Tsingtao «venne fondata [nel 1903] da industriali tedeschi che avevano colonizzato la parte più orientale della penisola del Shandong, quella che loro chiamavano la Baia di Kiautschou, detta oggi baia di Jiaozhou, o di Qingdao». Alla colonizzazione occidentale seguì l’invasione giapponese, fino alla vittoria cinese nella seconda guerra mondiale e alla conclusione della guerra civile a favore dei comunisti.

In tutto questo tempo, la birra frutto del “secolo dell’umiliazione” e dei trattati ineguali restò al suo posto, diventando già a partire dagli anni Cinquanta tra le poche merci esportate dalla Cina maoista, che ne fece un’importante fonte di valuta estera. Oggi la Tsingtao rimane – salvo eccezioni – una delle rare birre cinesi vendute oltre confine, anche se il “pipì-gate” del 2023 non ha fatto benissimo agli affari, soprattutto in Asia orientale.

Numeri

Nonostante la fama e la storia, la Tsingtao non è però né la prima birra a essere stata fondata in Cina, né la più venduta nel paese. Il primo marchio di birra cinese della storia è quello della birra Harbin, nata nel 1900 per volontà dei russi, che avevano bisogno di rifornire gli operai al lavoro nella costruzione della ferrovia orientale cinese. Oggi la Harbin è di proprietà americana. 

La birra più venduta in Cina è invece la Snow (xuěhuā píjiǔ, 雪花啤酒) del gruppo China Resources Snow Breweries, al terzo posto nel 2023 per birre vendute a livello mondiale con 111,51 milioni di ettolitri, dietro solo al gruppo olandese Heineken (che ha una partecipazione significativanella Snow) e al belga AB InBev, di cui fanno parte marchi come Budweiser, Beck’s, Corona e Leffe. La Tsingtao si è posizionata settima nel mondo con 74,10 milioni di ettolitri, mentre altri due marchi cinesi sono finiti in top 40: Yanjing (9°) e Pearl River (18°).

Pur avendo una storia relativamente breve, dal 2002 il mercato cinese della birra è il più grande al mondo e la Repubblica popolare è di gran lunga il paese che produce la maggiore quantità di birra, avendo quasi doppiato gli Stati Uniti (secondi) nel 2023. Non può essere solo una questione di dimensioni: l’India, stato più popoloso al mondo, è tredicesima. Fino a una decina di anni fa, inoltre, i birrifici industriali cinesi erano molti di più. Nell’era Xi Jinping i maggiori controlli statali in merito alla qualità della birra e alla falsificazione delle etichette (alcuni riproducevano in maniera ingannevole quelle dei marchi più famosi) hanno portato a tante chiusure, ma anche a un più generale livellamento verso l’alto dei prodotti.

Birre artigianali, premium e… antiche

La birra cinese è prevalentemente leggera (molte non superano i 3/3,5 gradi) e si beve spesso in accompagnamento ai pasti. Per ubriacarsi ce ne vuole tanta, o ci vuole altro. Ma esistono numerose eccezioni. Ad esempio la birra Wusu, prodotta nello Xinjiang e comprata nel 2016 dalla Carlsberg, domina il mercato locale, pur essendo abbastanza forte, perché più in linea con i sapori dei cibi tradizionali della regione. La fidelizzazione locale rispetto ai birrifici della propria zona d’origine, assieme alle variegate tradizioni culinarie, comporta infatti che si presentino discrete differenze tra le birre prodotte nelle diverse province e regioni cinesi. 

Più in generale, però, i gusti dei cinesi quando si parla di birra si stanno spostando verso sapori più ricercati e particolari. Il consumo di birra artigianale (jīngniàng píjiǔ, 精酿啤酒) è in continua ascesa e, nel 2024, di tutta la birra consumata in Cina l’8% proveniva da birrifici non industriali. Il dato conferma una tendenza in corso già da qualche anno. Nonostante il mercato cinese della birra resti in espansione per quanto riguarda le entrate, il consumo totale di birra nel paese è in leggero calo da anni: i cinesi bevono meno, ma bevono birre più costose. Che spesso sono artigianali, appunto, o “premium”.

Spaventati dalla diminuzione delle vendite di birra tradizionale, con conseguenti gravi perdite per grandi marchi stranieri come Heineken e Carslberg, quasi tutti i maggiori birrifici industriali, cinesi e non, si stanno spostando verso i prodotti premium. Cioè birre comunque industriali ma dal sapore più sofisticato, dovuto all’aggiunta di aromi di ogni tipo, che esistono ormai in tutto il mondo. In Cina solo il 17% della birra consumata nel 2024 era premium, contro una media del 40% nei paesi “occidentali”, il che lascia pensare che ci sia ampio margine per espandere questa fetta di mercato.

Al di là dei ragionamenti economici, il trend che porta a preferire prodotti più ricercati sottolinea una crescente consapevolezza nel consumo della popolazione cinese, soprattutto giovane. Bere alcol non è un’abitudine salutare: ridurre, puntare su materia prima di qualità e possibilmente prodotta in zona è una mentalità sempre più diffusa tra le nuove generazioni. Sempre più donne, inoltre, stanno iniziando ad aprire i propri birrifici, contribuendo così ad abbattere stereotipi di genere in un mercato dominato dagli uomini e pensato per gli uomini.

Quella della produzione di birra in Cina è una storia fatta di intersezioni culturali con l’occidente e dunque relativamente giovane, almeno per come si intende oggi il prodotto, ma non è vero che nel paese – o più in generale in Asia – la birra sia arrivata solo un centinaio di anni fa. Alcuni ritrovamenti archeologici hanno portato gli studiosi a sostenere che si bevesse birra in Cina già 10 mila anni fa, almeno nello Zhejiang, attraverso analisi di laboratorio che hanno riscontrato la presenza, in vecchi recipienti di ceramica, di residui di cereali e di lieviti usati per la fermentazione.

Non è la birra che si intende oggi, visto che i ritrovamenti riguardano soprattutto la birra di riso, tradizionale in varie zone dell’Asia. Ma il concetto è lo stesso. Inoltre, secondo i ricercatori, in alcuni reperti trovati nello Shaanxi e associati alla fermentazione della birra, risalenti a 5 mila anni fa, sono presenti dei residui di orzo, ovvero il cereale più usato anche nella produzione di birra “occidentale”. Due birrifici artigianali cinesi, Jing-A e Moonzen, hanno anche provato a ricreare questa ricetta antica usando la lista degli ingredienti emersa dalle analisi di laboratorio sugli scavi. Per chi l’ha assaggiata assomiglia vagamente a una Weiss tedesca, ma è più probabile che 5 mila anni fa fosse più simile a un porridge, sostengono i ricercatori di Stanford. 

Per trovare qualcosa nel passato assimilabile alla birra odierna, in Cina, forse serve arrivare fino intorno all’anno 1000. Come in Germania, anche in questo caso la producevano dei monaci, non cattolici ma buddhisti: una storia raccontata da Isaia Iannaccone su China Files. Che sia antica, artigianale o industriale, la birra cinese è molto più della Tsingtao. Anche se per berla, quasi sempre, serve per forza andare in Cina.