Renata Pisu
MESSAGGIO AUGURALE DI RENATA PISU
Confucio è arrivato da noi, un lungo viaggio che il Saggio ha affrontato a passo lento, forse perché erano tanti gli ostacoli da valicare. Eppure, chi lo avrebbe mai detto? Alla fine è qui da noi. Magari ci fosse stato, a Roma o a Milano, quando decisi di studiare la lingua cinese, un Istituto Confucio: non avrei dovuto affrontare in modo tanto pionieristico e faticoso, i primi elementi della scrittura e della fonetica, spesso disperando perché il mio insegnante, un vecchio cinese in Italia da quarant’anni, era convinto che noi occidentali non saremmo mai riusciti a pronunciare i monosillabi con i loro toni, le quattro tonalità più la quinta, la debole. Per cui non ci insegnava nemmeno la corretta pronuncia. Tempo sprecato, diceva. Studiavamo su dispense da lui preparate, favolette per la prima infanzia, mai un testo che in qualche modo potesse avere un aggancio con la Nuova Cina, le sue conquiste e i suoi fallimenti, nemmeno con l’attualità di un socialismo che sin all’inizio si presentava con caratteristiche “diverse”. Perché “confuciano”? Allora non avrei saputo dare una risposta, oggi invece credo di sì perché, negli anni, mi sono convinta che se si ignora Confucio ci manca la chiave per penetrare nel mondo cinese. E se si ignora la civiltà cinese, si finisce per avere una comprensione assai limitata dell’esperienza umana.
Comunque, mezzo secolo fa, ottenni la prima borsa di studio del governo cinese per l’Università di Pechino e intrapresi il lungo viaggio “oltrecortina”. Superai la “barriera dei toni” e mi trovai a vivere in un paese che, sin dai primi anni del Novecento, aveva pensato di poter diventare moderno sbarazzandosi di Confucio.
Così, se ho esordito asserendo che per giungere fino a noi come simbolo della continuità di una grande cultura il Saggio ha dovuto superare tanti ostacoli, non mi riferivo soltanto a quelli opposti dalla nostra ottusità eurocentrica, ma anche a quelli dell’ideologia allora divampante in Cina che supponeva fossero possibili una crescita e uno sviluppo senza radici.
Che Confucio sia finalmente tornato in auge nel suo paese, oggi avviato decisamente alla prosperità, è di somma importanza purché si ritrovi il senso più profondo della sua dottrina. Che sia giunto fino a noi con l’Istituto di studi dedicato al suo nome, penso che sia la premessa per una più vasta comprensione reciproca. Quanto allo studio della lingua e della cultura cinese, personalmente vorrei frequentare un corso di cinese classico, materia tanto trascurata all’epoca in cui frequentavo l’Università di Pechino. Così potrei finalmente leggere Confucio nella versione originale. Non sto scherzando, ho ancora tanta confuciana voglia di apprendere.
Milano, 27 novembre 2009